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oscura, solitaria, tutta rovina, tutta cenere infeconda, avanti cui guizza la fiamma della morte, su cui splendono le stelle dell’infinito.

Infelici siete, infelici sarete; ma allora i vostri compagni di via, voi li amerete, o uomini mortali!



XIV.


Questo dice Giacomo Leopardi nel suo poema postumo. Che egli dica il vero non voglio affermare nè negare. Ma consideriamo. Egli è un precursore. Egli dopo la caduta dell’impero Napoleonico e prima d’ogni moto italico prorompeva nel suo fatidico grido:

l’armi, qua l’armi!

preannunziando Vittorio Emanuele e Garibaldi. Ma andava anche più lungi. Egli prima ancora che l’Italia si fosse cominciata a fare, sentiva il rumore d’una marea lontana. Quella che noi ascoltiamo ora con profondo terrore, con profonda tristezza, con profonda dubbiezza, egli la sentiva allora.

L’Italia è fatta, e sui nostri capi passa il presentimento d’un disastro; d’un disastro che sta per cogliere il genere umano; d’un disastro contro il quale, aver fatta l’Italia è per noi come per il contadino aver messo al coperto il grano avanti la minaccia d’un temporale che porterà via la casa e tutto.

Egli lo provava sin d’allora questo medesimo presentimento, e gittava, anche per questo, il suo grido fatidico: Non incolpate, o uomini, gli uomini delle vostre miserie! Abbracciatevi, o stolti: amatevi!

Egli c’invitava a salir con lui a quell’altezza di pen-