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zione giudicata nel modo più sfavorevole dall’opinione pubblica conseguente cessazione da ogni apprestamento di guerra e, da ultimo, poiché le popolazioni - se avessero torto, o avessero ragione qui non importa discutere - volevano apparecchiarsi alla guerra, poiché il Consiglio dei deputati, interprete del voto pubblico, voleva, nella sua maggioranza, apprestamenti guerreschi e il Papa non voleva assolutamente la guerra — in cuor suo neppure quella difensiva — così si reputò utile prorogare, con decreto del 26 agosto, le due Camere legislative al 15 novembre.

In mezzo a questa decomposizione di ogni autorità e a questo precipizio di ogni prestigio di Pio IX e a questo baratro che si spalancava e che ogni giorno, anzi, senza esagerazione retorica, ad ogni ora, si faceva più profondo fra lui e le popolazioni romane. Pellegrino Rossi, nuovamente chiamato dal Papa sui primi di set-

    sione della causa logica di quell’andar delle cose a rotta di collo che egli poco prima aveva lamentato. Di fatti in quel poscritto si legge: «Se aveste occasione di vedere Sua Santità ricordategli la mia affettuosa devozione. Qui ed in tutta Romagna sono assai gravi le accuse che si lanciano contro di esso: io credo fermamente alla purità delle sue intenzioni, ma pur troppo quelle oscillazioni hanno fatto un gran male all’Italia e allo Stato. Pio IX ebbe un momento la più bella di tutte le imprese a compiere, poteva restaurare la religione, ordinare la libertà e pacificare l’Europa. Ora quei momento è perduto e non tornerà mai più. La potenza temporale dei Papi torna ad essere riguardata esiziale secondo la sentenza del Machiavello, nè ciò solo. Ma io voglio finire perché è tardi e la posta parte. Questa lettera sarà un ammasso incoerente di pensieri, ma ho scritto come la penna gretta. Addio».

       Lasciamo stare se Pio IX avesse avuto potestà di fare tutte quelle belle cose; certo nella lettera, quantunque bella, grande coerenza non pare che vi sia. Ma ad ogni modo, se i danni fiuti da Pio IX alla causa italiana li riconosceva lui, il Minghetti, o perché mo’ non voleva che li riconoscessero anche le altre centinaia di migliaia di cittadini italiani come lui, che amavano la patria come lui, che erano addolorati come lui e che si distinguevano da lui solo in questo, che egli si rassegnava e quelli, meno miti, più ardenti, più clamorosi e plebei se si vuole, non si volevano rassegnare e cercavano, stoltamente anche, se si vuole, di continuare nell’impresa, abbandonata dal Papa, anche senza il Papa, anche a dispetto del Papa? La purità delle intenzioni - che moltissimi, del resto, nè anche a quei dì riconoscevano in Pio IX - non era balsamo bastevole a sanare la irrimediabile ferita fatta alla causa dell’indipendenza nazionale. Pare quindi evidente che non vi sia coerenza con tutto ciò che l’illustre bolognese diceva, nella lettera, circa agli effetti e ciò che diceva, poi, nel poscritto, circa le cause: il poscritto distruggeva le lamentazioni e le declamazioni della lettera.

       La verità è che i contemporanei, anche insigni, anche grandi, non si sanno e non si possono spogliare delle passioni di parte, specie poi se dottrinari: perchè allora non possono spogliarsi neppure delle loro teorie: e così, imbottiti di passioni e impellicciati di teorie, anche se spiriti elevati, anche se grandi ingegni, non hanno più un angolo nella persona dove collocare la logica, che è quella poi che governa la storia.