Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/482



La Serafina e l’Emilia dicevano che Irene tirava il rocco a diventare contessa e che una volta il sor Matteo aveva detto: — State attente, ragazze. Ci sono dei vecchi che non muoiono mai.

Era difficile capire quanti parenti avesse a Genova la contessa — si diceva perfino che ce ne fosse uno vescovo. Avevo sentito raccontare che ormai la vecchia non teneva piú servitori né domestiche in casa, le bastavano le nipoti e i nipoti. Se era cosí, non capivo che speranze Irene aveva; per bene che le andasse, quel Cesarino doveva dividere con tutti. A meno che Irene si accontentasse di far la serva nel Nido. Ma quando mi guardavo intorno nei nostri beni — la stalla, i fienili, il grano, le uve — pensavo che forse Irene era piú ricca di lui e che magari Cesarino le parlava per metter lui le mani sulla sua dote. Quest’idea, pur facendomi rabbia, mi piacque di piú — mi pareva impossibile che Irene fosse tanto interessata da darsi via per ambizione, cosí.

Ma allora, dicevo, si vede proprio che è innamorata, che Cesarino le piace, ch’è l’uomo che lei muore di sposare. E avrei voluto poterle parlare, poterle dire che stesse attenta, che non si sprecasse con quella mezza cartuccia, con uno scemo che non usciva neanche dal Nido e stava seduto per terra mentre lei leggeva un libro. Almeno Silvia non sprecava cosí per niente le giornate e andava con qualcuno che valeva la pena. Se non fosse ch’ero soltanto un garzone e non avevo diciott’anni, magari Silvia sarebbe venuta anche con me.

Irene ci soffriva, anche. Quel contino doveva essere peggio di una ragazza mal allevata. Faceva i capricci, si faceva servire, sfruttava con cattiveria il nome della vecchia, e a tutto quanto Irene gli diceva o domandava rispondeva che no, che bisognava sentire, non fare passi sbagliati, tener presente chi era lui, la sua salute, i suoi gusti. Adesso era Silvia, le poche volte che non scappava sui bricchi o non si chiudeva dentro casa, a ascoltare i sospiri di Irene. A tavola — diceva l’Emilia — Irene teneva gli occhi bassi e Silvia li piantava in faccia a suo padre come avesse la febbre. Soltanto la signora Elvira discorreva asciutta asciutta, puliva il mento della Santina, accennava maligna all’occasione perduta del figlio del medico, a quel toscano, agli ufficiali, agli altri, a certe ragazze di Canelli piú giovani che già s’erano sposate e stavano per far battezzare. Il sor Matteo borbottava, non sapeva mai niente.

Intanto la storia di Silvia andava avanti. Quando non era dispe-


478