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disse, se i palazzi erano tutti chiusi? Non volevo vedere i palazzi, dissi, mi bastava un’idea, un’ambientazione. Lui disse che se non volevo vedere era chiaro che non me ne intendevo, e allora tanto valeva che nel negozio ci mettessi la roba solita.
Becuccio gli chiese lui se non aveva in corso qualche lavoro. Il vecchio si voltò alla bottega e gridò nel buio. Qualcuno s’agitava in fondo. — Abbiamo qualcosa? — gridò il vecchio. L’altro grugní. — Non c’è niente, — disse il vecchio toccandosi gli occhiali, — cosa vuole, non si ha piú voglia di lavorare per la gente.
Becuccio rimase male e cominciò a far parole, e dovetti tirarlo via anche lui. L’ebanista s’era ricacciato in bottega e neanche gli rispondeva. Tornammo insieme in via Po, dove già Febo mi aspettava per scegliere le stoffe da mettere ai muri. Dissi a Becuccio ch’era bello far la vita di quel vecchio: sbattere la porta in faccia agli altri, e il lavoro sceglierlo noi.
— Non ne deve fare molto, — disse Becuccio. — La politica gli ha dato alla testa...
Poi con Morelli visitai quella mostra, e c’erano dei pendoli e dei servizi davvero belli. Ogni tanto mi scappava da dire: — Questo andrebbe ma mi ricordavo ch’ero lí soltanto per svago, per dare a Morelli modo di tenermi compagnia. — Non vuol farsi una casa per sé? — mi diceva Morelli.
— Se un giorno una qualche Clelia me la mette su...
Lui si godeva la sua parte, fra quei cristalli e le signore che mi sbirciavano, e con parecchie si salutava. Io pensavo quanti di loro dovevano conoscersi con Momina, con Febo, con Mariella e i pittori. Torino è ben piccola.
Domandai a Morelli se qualcuno di quella crema faceva sul serio. Lui chiese come. — Se hanno dei vizi, — dissi, — se si giocano i patrimoni, se sono carogne come vorrebbero. Finora ho trovato soltanto della gente sporchetta o dei ragazzi...
— Succede, — disse Morelli, — che siamo piú giovani noi dei ragazzi... Non sanno mica.
— Dico gli anziani come lei e come me... Quelli che hanno tempo e mezzi. Se li godono almeno? Io, se non dovessi lavorare, avrei dei vizi terribili. In fondo non mi sono cavata nessuna voglia nella vita...
Morelli, serio, mi disse che un vizio ce l’avevo. — E quale? — Avevo il vizio di lavorare, di non prendere mai una feria.
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