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gono e che cosa dipingono? Non hanno ambiente. Quello che fanno non serve a nessuno. Lei lo farebbe un vestito che non sia da portare, ma da tenere sotto vetro?

Gli dissi che non facevano soltanto quadri o statuine, ma parlavano di mettere su uno spettacolo. Ne parlavano molto. Gli dissi dei nomi. — Bella roba, — m’interruppe sarcastico, — bella roba. Lei che cosa direbbe se quella gente mettesse insieme una sfilata di modelli e invitasse Clelia Oitana a vederla?

Allora seguitammo a scherzare e si concluse che soltanto noi vetrinisti, architetti e sarte eravamo artisti veri. Finí, come prevedevo, che m’invitò a venir con lui in montagna a vedere un rifugio che aveva progettato. Gli chiesi se aveva niente di piú comodo da propormi. Magari un palazzo a Torino. Mi guardò con un occhio solo, ridendo.

— Il mio studio... — disse.

Ero stufa di studi e di chiacchiere. Quasi preferivo Becuccio e il suo bracciale di cuoio. Quest’altro si chiamava Febo — cosí era scritto in fondo a tutti i suoi progetti. Gli risi in faccia, con la stessa impertinenza sua, e lo mandai a letto come un ragazzo troppo furbo.

Ma Febo era rosso, testardo e peloso, e doveva aver deciso che facevo per lui. Riuscí a sapere esattamente come stavo con Mariella, con la Nene e con Momina, di Morelli e del suo cognac, della mia visita allo studio di Loris. L’indomani venne a dirmi che voleva accompagnarmi a una mostra. Gli chiesi se non era meglio che decidessimo quelle tendine. Mi rispose che l’ambiente piú adatto era la mostra, si beveva un liquore e si studiava l’arredamento del locale: una cosa di gusto. Ci andammo, e già salendo le scale sentii ridere la Nene.

Quelle sale erano un misto di montagna e di bar novecento. Ci servivano certe ragazze in grembiale a quadretti. Siccome anche le poltrone e le maioliche facevano mostra, ci si stava a disagio, ci si sentiva come esposti in una vetrina. Febo non disse se ci aveva avuto mano anche lui. Alle pareti si vedevano quadri e statuine; non le guardai. Guardai la Nene che, nel solito abituccio, rideva rideva, buttata su una poltrona, divincolando le gambe, e da dietro un cameriere in nero le accendeva la sigaretta. C’era Momina, e altre donne e ragazze. C’era un vecchietto con la barba da cinese, che seduto davanti alla Nene le schizzava il ritratto. Alle porte


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