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Gli occhi d’Elena cupi e imbronciati come la voce — che nella tenebra e nell’orgasmo dei loro incontri serali aveva quasi dimenticati — Stefano li rivide la mattina dopo. La sera, inquieto, era passato dalla bottega della madre che prima evitava, per far sentire a Elena che si ricordava di lei. Ma Elena non c’era, e con la vecchia infagottata e immobile, che parlava un dialetto dell’interno, si capivano a fatica. Stefano aveva lasciato il pentolino del latte, piú come pensiero che come pretesto perché Elena glielo portasse l’indomani. Sinora Stefano aveva chiesto il latte la mattina presto al capraio che passava col gregge.

Elena venne dopo l’alba, quando Stefano masticava già un pezzo di pane asciutto. Si fermò timida sull’uscio col pentolino in mano, e Stefano capí che s’era peritata di trovarlo ancora a letto.

Stefano le disse di entrare e le sorrise, togliendole dalle mani il pentolino con una carezza furtiva che doveva farle comprendere che quel mattino non sarebbero stati nel caso di chiudere le imposte.

Anche Elena sorrise.

— Mi vuoi sempre bene? — disse Stefano.

Elena abbassò gli occhi, impacciata. Stefano allora le disse che era contento di stare un poco con lei anche senza baciarla, lei che credeva che non volesse che quello. E doveva perdonargli se era un poco brusco e selvatico, ma da tanto tempo viveva solo, che certe volte odiava tutti.

Elena lo guardava cupa e intenerita, e gli disse: — Vuole che faccia pulizia?

Stefano le prese la mano ridendo e le disse: — Perché mi dài


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