Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/215







VI.

Nella strada, davanti al portone, si lasciarono, che aveva smesso di piovere. Ginia rivedeva ancora la stanza sporca e sgocciolante in quella luce da lampione. Diverse volte Guido l’aveva accesa, per versar da bere o per cercare qualcosa, e Amelia dal sofà s’era coperti gli occhi gridando di spegnere, e s’era visto Rodrigues raggomitolato contro il muro ai suoi piedi, immobile.

— Non hanno nessuno quei due, che gli scopi la stanza? — disse Ginia, mentre tornavano a casa sole.

Amelia disse che Guido si fidava troppo a lasciar la chiave dello studio a Rodrigues.

— Li ha fatti Guido, quei quadri?

— Io al suo posto avrei paura che quel portoghese me li vendesse, subaffittandomi la stanza sul patto.

— Tu posavi per Guido?

Amelia raccontò camminando come aveva conosciuto Rodrigues quando lei era piú giovane e posava per un tale. Rodrigues capitava, come adesso, e si sedeva nello studio come fosse al caffè; se ne stava lí rincantucciato, guardava da lei al pittore, e non diceva mai niente. Portava già la cravatta bianca. Faceva lo stesso con un’altra modella, che lei conosceva.

— Ma non dipinge anche lui?

— Chi è quella disperata che vuoi che gli si metta nuda davanti?

Ginia avrebbe voluto rivedere i quadri di Guido, perché sapeva che soltanto di giorno si vedon bene i colori. Se fosse stata sicura che non c’era Rodrigues, avrebbe preso il coraggio a due mani per andarci da sola. Immaginava di salire, bussare, e trovare quel Guido coi suoi calzoni da soldato, e ridergli in faccia per rom-


211