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negozio si vedeva il portone di Amelia, ma quel Massimo non immaginava certo perché lei si fermasse a chiacchierare e a ridere, e ci tornasse il giorno dopo.

Guardavano le lampade rosa e celesti, e lei faceva la matta. Dalla vetrina si vedeva passar gente, e Ginia gli chiese se era vero che Amelia girava vestita di bianco. — Chi lo sa? — disse Massimo, — siete tante, voi ragazze. Lo saprà Severino. — Oh perché Severino? — A Severino, — disse Massimo, — piacciono le cavallone. È ben quella che va senza calze? — Te l’ha detto lui? — chiese Ginia. — Sei sua sorella e non lo sai? — rispose Massimo ridendo; — fattelo dire da Amelia. Non ti veniva sempre in casa?

A questo Ginia non aveva mai pensato. L’idea che a Severino fosse piaciuta Amelia, che se lo fossero detto e magari si vedessero, le guastò la giornata. Se questo era vero, tutta l’amicizia di Amelia era stata una finta. «Sono proprio una bambina», pensava Ginia, e per tenersi dalla rabbia si ricordò che vederla nuda le aveva fatto ribrezzo. «Ma sarà vero?», pensava. Severino innamorato di qualcuna non riusciva a immaginarselo, e anzi era certa che, se lui l’avesse vista quella volta posare, povera Amelia non gli sarebbe piú piaduta. «O forse sí?» «Ma perché siamo nude?» pensò disperata.

Verso sera, era già piú tranquilla, e convinta che Massimo aveva detto per dire. Mentre mangiava con Severino, gli guardava le mani e le unghie rotte e capiva che Amelia era abituata a tutt’altro. Poi rimase sola alla luce smorzata e pensava alle belle sere di agosto che Amelia veniva a prenderla, quando senti dietro la porta la sua voce.


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