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guardavano, e sulla porta di casa uscì una vecchia. Intanto il cane mi fiutava. Fiuto anch’io l’odore del fieno e vengo avanti e dico ridendo che a buon conto era inutile pigliarsela adesso, visto ch’era tornato. Talino dice allora chi ero, e il vecchio mi guarda le scarpe e si gratta dentro i calzoni, e si volta a quelle del carro gridando di finire prima di notte. Poi dice a Talino: — Va’ dalla vecchia; poi da’ una mano a scaricare, — e Talino s’incammina, col suo fagotto. Dalla porta si volta e ci grida: — Fategli vedere la macchina. Pa’!

Dietro alla casa c’era una stoppia che teneva mezza la collina, e il vecchio dice: — Andiamo fuori dal riverbero, — e mi porta sull’aia fra la casa e la stoppia. Mi piazza contro il muro; là faceva un po’ di fresco e non ci sentiva nessuno. — Bella campagna, gli dico. Lontano lontano la collina finiva in quella punta pelata e mi metto a respirare il letame e si sentivano già i grilli.

— Ci voleva una notte d’acqua, per il fieno, — dice il vecchio, guardando in aria. — Era tanto sangue nelle vene...

Gli faccio: — Ce n’è del lavoro in campagna, eh?

— Ognuno il suo. Ma la terra mangia piú di noi.

— Sarebbe?

— Sarebbe che non basta la fatica. Bisogna spenderci quel poco guadagno, per averla pronta l’anno dopo.

— Allora del guadagno ce n’è.

— Ci sarebbe, non fosse che quando il lavoro spinge vi portano via i figli per delle storie. Soldi, ci vogliono.

— Mi sembra che esageriate. Talino non ha avuto bisogno neanche dell’avvocato...

— Sono io il suo avvocato. Glielo do io l’avvocato.

— E dov’è questa macchina?

Allora il vecchio si fa anche piú storto e mi chiede, con un occhio solo:

— Gli avete imprestato dei soldi?

Se gli dicevo di no, ero servito. Mi mandava a dormire nei fossi.

— Qualchecosa, — gli faccio, — per levargli la fame. Alle Nuove dormiva con me.

Tanto bastò per dargli fiato e drizzarlo. La notte poi mi viene in mente che Pieretto al mio posto gli avrebbe raccontato che quel goffo non era prosciolto e lo mandavano a casa soltanto per far-


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