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La cena triste

Proprio sotto la pergola, mangiata la cena.
C'è lì sotto dell'acqua che scorre sommessa.
Stiamo zitti, ascoltando e guardando il rumore
che fa l'acqua a passare nel solco di luna.
Quest'indugio è il più dolce.

La compagna, che indugia,
pare ancora che morda quel grappolo d'uva
tanto ha viva la bocca; e il sapore perdura,
come il giallo lunare, nell'aria. Le occhiate, nell'ombra,
hanno il dolce dell'uva, ma le solide spalle
e le guance abbrunite rinserrano tutta l’estate.

Son rimasti uva e pane sul tavolo bianco.
Le due sedie si guardano in faccia deserte.
Chissà il solco di luna che cosa schiarisce,
con quel suo lume dolce, nei boschi remoti.
Può accadere, anzi l'alba, che un soffio più freddo
spenga luna e vapori, e qualcuno compaia.
Una debole luce ne mostri la gola
sussultante e le mani febbrili serrarsi
vanamente sui cibi. Continua il sussulto dell'acqua,
ma nel buio. Né l'uva né il pane son mossi.
I sapori tormentano l'ombra affamata,
che non riesce nemmeno a leccare sul grappolo
la rugiada che già si condensa. E, ogni cosa stillando
sotto l'alba, le sedie si guardano, sole.
Qualche volta alla riva dell'acqua un sentore,
come d'uva, di donna ristagna sull'erba,

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