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tagliato in due, senta ancora un mal di denti. È questa: che da Brancaleone ho scritto un 2 febbraio una lettera simile, quella della crosta. Quale è stata la mia vita da allora? Valeva la pena essere cosí vile, per ottenere che cosa? Altri squarci, altra cancrena, altro sfottimento.

Sono diventato idiota. Mi chiedo e richiedo: che cosa le ho fatto di male? Abbi il coraggio, pavese, abbi il coraggio.

[......]1.

Pensa che hai un merito, se spacci te solo. Ti sarà contato.

25 aprile.

Perché — quando si è sbagliato — si dice «un’altra volta saprò come fare», quando si dovrebbe dire: «un’altra volta so già come farò»?

6 maggio.

A tutto c’è rimedio. Pensa che sia l’ultima sera che passi in prigione. Respiri, guardi la cella, ti intenerisci sui muri, sulle sbarre, sulla scarsa luce che entra dalla finestra, sui rumori che sussultano da ogni parte e ormai appartengono a un altro mondo.

Perché ti fa pena la cella? Perché è diventata cosa tua. Ma se ti dicono improvvisamente che c’è un errore, che non uscirai domani, che resterai non sai ancora quanto, manterrai la calma?

Siamo sinceri. Se ti comparisse davanti Cesare Pavese e parlasse e cercasse di fare amicizia, sei sicuro che non ti sarebbe odioso?

Ti fideresti di lui? Vorresti uscire con lui la sera a chiacchierare?

  1. Omesse tre righe [N. d. E.].