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(Parlano Edipo e un mendicante).

edipo   Non sono un uomo come gli altri, amico. Io sono stato condannato dalla sorte. Ero nato per regnare tra voi. Sono cresciuto sulle montagne. Vedere una montagna o una torre mi rimescolava — o una città in distanza, camminando nella polvere. E non sapevo di cercare la mia sorte. Adesso non vedo piú nulla e le montagne son soltanto fatica. Ogni cosa che faccio è destino. Capisci?

mendicante   Io sono vecchio, Edipo, e non ho visto che destini. Ma credi che gli altri — anche i servi, anche i gobbi o gli storpi — non amerebbero esser stati re di Tebe come te?

edipo   Capiscimi, amico. Il mio destino non è stato di aver perso qualcosa. Né gli anni né gli acciacchi mi spaventano. Vorrei cadere anche piú in basso, vorrei perdere tutto — è la sorte comune. Ma non essere Edipo, non essere l’uomo che senza saperlo doveva regnare.

mendicante   Non capisco. Ringrazia che sei stato signore e hai mangiato, hai bevuto, hai dormito dentro un letto. Chi è morto sta peggio.

edipo   Non è questo, ti dico. Mi duole di prima, di quando non ero ancora nulla e avrei potuto essere un uomo come gli altri. E invece no, c’era il destino. Dovevo andare e capitare proprio a Tebe. Dovevo uccidere quel vecchio. Generare quei figli. Val la pena di fare una cosa ch’era già come fatta quando ancora non c’eri?