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la poesia lirica in roma 81

tramontata la luna e le Pleiadi, è mezza notte, il tempo passa, e io dormo sola — il nunzio di primavera, l’usignuolo dalla voce d’amore... — che cosa a me, cara rondinella di Pandione?...»1 La fantasia compie il frammento che sorride intero, per un istante, come un’apparizione, e poi vanisce lasciandoci della grazia nel cuore. Ecco la fanciulla innamorata: «Dolce madre, no non posso tessere questa tela, domata dall’amore d’un giovinetto, per la molle Aphrodite».2 Ecco una bambina: «Io ho una bella bimba, che ha la grazia dei fiori d’oro, Cleis l’amata, per la quale io nè la Lydia tutta nè l’amabile...»3 E che cosa di più forte e gentile di questi tocchi? «come una bimba corro alla madre battendo le ali — Amore mi scorre il cuore, vento che nel monte si gettò sulle quercie — come il dolce pomo arrossa in cima al ramo, in cima del ramo più in cima; se ne dimenticarono i coglitori; no, non se ne dimenticarono, ma non poterono arrivarvi — come il giacinto nei monti i pastori pestano coi piedi e a terra rosseggia il fiore... — Esperò, tu porti quanto disperse l’aurora, porti l’agnella, porti la capra, riporti alla madre il suo ragazzo»4. Qual dolcezza ingenua di lode, che sa di convivio nuziale, in queste espressioni, «più bianca dell’ovo, più oro dell’oro»!

Sappho la bella non è morta e non morrà mai; ella non è davvero quella di cui parlò così: «Morta tu giacerai, una volta; e memoria di te non sarà nè

  1. Sappho 4, 54, 53, 52, 39, 88.
  2. ead. 90.
  3. ead. 85.
  4. ead. 38, 42, 93-95.