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e ne spruzza le vesti. Il rapsodo prende l’oime dell’ambasceria ad Achille, che in origine era fatta da due: Aias e Odysseo, come si vede nell’Iliade, quale noi abbiamo, dai versi 182 e ’3, 192 e altri ancora, in cui è usato il duale: «E quei due andarono lungo la riva del molto sonante mare»; prende quell’oime e aggiunge ai due ambasciatori Phoinix, contro ogni verosimiglianza, perchè esso doveva già essere con Achille, se non era a Scyro col figlio d’Achille; e lo fa parlare a lungo, alla maniera di Nestore, con quei miti ricordi dell’infanzia, all’Implacabile; e con essi ricordi e col tratto di Achille che fa rimanere con sè il buon vecchio, ottiene tanto di grazia, che tutto il luogo è rimasto come parte integrante dell’Iliade. E che sia aggiunta, resta dunque chiaro il segno in quei duali, e la commessura è evidente nel verso 223:

               νεῦσ’Αἴας Φοίνικι· νόησε δέ δῖος Ὀδυσσεύς,

nel qual verso invano i commentatori possono salvare Odysseo dalla taccia di prosuntuoso e d’impaziente nella sua prosunzione, lui così prudente e che sapeva così bene stare al suo posto e parlava quando gli toccava, come si vede nell’ambasceria a Troia con Menelao (Γ 216). I rapsodi dovevano poi sbizzarrirsi nelle comparazioni, ampliandole o moltiplicandole, perchè certo con esse dilettavano il loro uditorio, che sentiva narrare, per es., di bestie strane e lontane. E a me pare che fosse quasi un ingegnosissimo modo di burlarsi del pubblico, il fatto del rapsodo, che da una bestia comune e vicina trasse un paragone, aggiungendolo a un altro, che era tratto dal leone. Dopo il leone, l’asino: