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LA POESIA EPICA IN ROMA1

L’Epos è la poesia degli anni «migliori»2.E quali questi anni? Gli anni passati e lontani. Noi diamo al tempo biasimo e mala voce, perchè scolora, per usare le parole di Servio3, la virtù umana: a torto; poichè esso invece colora ogni cosa d’una patina inimitabile che rende tutto bello, venerabile, augusto. Non le cose presenti scolora, ma colora le passate, sì che quelle al paragone di queste paiono pallide e smorte. Nel brevissimo giro della nostra vita, ognun di noi ha il suo epos, e volentieri dice, o direbbe, quando la dea che dà il bene e il male, gli fosse presente: «L’uomo narrami, Musa»: l’uomo che fu e non è, in noi; l’uomo che molto errò, che molto sofferse ὅν κατὰ θυμόν, che era bello, grande, forte, destro, simile a un dio. Era veramente? A noi pare che fosse, e per la poesia basta. E quando comincia a parere? dopo quali tra-

  1. Dall’«Epos» di Giovanni Pascoli, editore R. Giusti, Livorno. Prima edizione, 1897; terza, 1924. Le note senza nome d’autore o indicazione d’opera si riferiscono al su detto «Epos».
  2. Aen. vi 649: Magnanimi heroes, nati melioribus annis.
  3. Serv. al verso di sopra: plerumque enim hominum virtus decoloratur temporis infelicitate.