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un caposcuola. Anche quelli che si scostarono poi dalle sue orme, cominciarono coll’imparare da lui. Valga per tutti Vergilio. Orazio mostra un certo dispetto della sua popolarità, e deride la scimmia Demetrio che era Nil praeter Calvum et doctus cantare Catullum; eppure anche in lui è traccia d’imitazione e di studio di Catullo. Quanto a ciò che afferma, d’aver mostrato per primo al Lazio gl’iambi Parii e primo aver, derivata in Italia la poesia Aeolica1, ciò si può riconoscere per vero, e si può non vedervi offesa per il predecessore; poichè Orazio allude alla perfetta distinzione dei generi e interpretazione dei metri. Resti a Orazio la gloria d’aver fatta poesia più bella e più regolare, e si conservi a Catullo quella d’aver fatta poesia più viva e sentita. Dopo il secolo d’Augusto la fama di lui crebbe, non che si oscurasse dopo il fulgore del Venosino. Fu anzi tanto imitato e contraffatto, che venne a noia. Così è: un’opera d’arte buona e bella, ha nella sua bontà e bellezza la ragione del suo dissolvimento; poichè quella eccellenza la fa amare, l’amore la fa imitare, l’imitazione la rode, la consuma, l’annulla. Si fa silenzio e buio intorno a essa. Passano secoli e secoli. Finalmente di sotto il moggio è tratto il lume, che si credeva estinto. Il piccolo libro torna a splendere e vivere, e a far rivivere un’anima e un’età.

VII.

Catullo morì dunque giovane; sino all’ultima vecchiaia visse Valerio Catone, il grammatico. Questi vide altri poeti e udì altre canzoni, sentì sfiorire la

  1. Hor. S. I, x, 19; Epl. I, xix, 23; C. III, xxx, 14.