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Art. 7. I reati contemplati nelí’alinea primo dell’articolo 648 del Codice penale saranno puniti cogli arresti, e con multa estensibile a lire 100.

1 reati contemplati nell’alinea secondo dello stesso articolo 618, se commessi con mezzi diversi da quelli di cui all’arti- colo 4 della legge 26 marzo 4848, saranno puniti o cogli ar- resti per un tempo non minore di giorni cinque, o col car- cere estensibile ad un mese, e con multa estensibile a lire 300. 3

Art. 8.1 reati contemplati nell’articolo 630 del Codice pe- nale saranno puniti cogli arresti e colla ammenda.

L’ammenda sará convertita in multa estensibile a lire 100, se concorrono circostanze aggravanti di luogo, di tempo o di persona.

Art. 9. Le pene del carcere, degli arresti, della multa e dell’ammenda stabilite negli articoli 6, 7 ed 8 della presente, potranno essere applicate anche separatamente.

Art, 10. Le disposizioni contenute nell’articolo 29 della legge 26 marzo 1848 saranno applicabili anche nel caso che le offese contro i depositari o gli agenti dell’autoritá pub- blica per fatti relativi all’esercizio delle loro funzioni sieno state commesse con mezzi diversi da quelli di cui all’articolo 1 della legge medesima.

Art. 41. La berlina e l’emenda, stabilite come pene acces- sorie nel Codice penale, sono abolite.

Relazione fatta alla Camera il 26 giugno 1854 dalla Commissione composta dei deputati: Jacquier, Defo- resta, Cadorna Carlo, Serra Francesco, Pateri, Ra. vina, e Tecchio relatore.

Sienori i — Ji progetto di legge che adottaste nella tornata del 20 marzo, fatte le sue prove nel Senato, viene a voi di nuovo sottoposto.

Dei dodici articoli fu lievemente mutato il primo : tolto il quinto: rimasero illesi gli altri dieci.

I.

«Le disposizioni di quegli articoli non sono applicabili a- gli atti spettanti all’esercizio pubblico dei culti tollerati,» Questo il dettato vostro nell’alinea dell’articolo I.

Cancellato quel predicato di pubblico, che s’accompagnava alla parola e all’idea del culto, venne aggiunto l’inciso «nei locali ad essi culti destinati.»

La forma dell’alinea, tale come veniva adottato da questa Camera, ci par tuttavia che rendesse piú genuino îl concetto del legislatore, e rispondesse con maggior franchezza a quelle ragioni di tolleranza che i tempi altamente richieggono. Ma l’arrecata innovazione, se non atfesta esplicitamente, punto non niega il principio santo della tolleranza: e però non sappiamo indurci a persistere nella prima nostra lezione, a costo dell’ indugio che patirebbe 1° adozione di questa legge.

Certamente la parola pubblico era di giustizia inscritta nella formola da voi data all’articolo; imperocché alla idea di culto viene correlativa quella di pubblicitá.

Lo Statuto (articolo i) guarentisce la tolleranza dei culti dissidenti. Or chi professa un culto proprio non si accon- tenta ad una preghiera mentale 0 vocale nella sua cella, ma si riunisce ai correligionari, e a Dio tributa l’omaggio, ch’ei confessa e pratica esternamente, davanti un’ara, sotto una croce, in una sinagoga, in un tempio. Onde non è solamente per illazione logica, ma per derivazione spontanea dalla na-

tura delle cose che la tolleranza dei culti implica necessa- riamente l’acquiescenza al loro esercizio pubblico.

E perchè la essenza delle cose non si lascia dominare dal- l’uomo, cosí la ommissione della parola pubblico non im- porta e non può importare una non agnizione del principio di pubblicitá dei culti dissidenti, e molto meno un divieto. Sarebbe contraddizione in terminis, che si acconsenta la pra- tica del culto delle altre religioni diverse dalla cattolica, € nol si voglia tollerare pubblico; vale a dire che si guaren- fisca per le religioni dissidenti un culto non culto.

Per tal modo il dettato vostro, aggiungendoil predicato di pubblico alla idea di culto, non tendeva giá nè a stabilire, né a decidere che i cniti potessero o no avere il carattere della pubblicitá nel loro esercizio; ma semplicemente affermava la sussistenza di un caraitere verificatosi tanto in fatto, quanto in dirilto.

L’articolo i delle Statuto riconosce (giova ripeterlo) nel giure costituito l’esercizio pubblico dei colti dissidenti. Gli atti di adorazione segreta di una creatura al suo Dio, prima ancora dello Statuto, non era possibile impedire che fossero praticati. E quandu s’intendesse che l’articolo 1 dello Statuto non abbia annunciato salvochè la telleranza di tali atti, do- vremmo inferire che quell’articolo non ha senso.

Nè l’osservanza del fatto si disforma dal tema del diritto. Chi mai si avviserebbe contendere che pubblico non sia l’e- sercizio del culto, per esempio, dei protestanti, oggi che nella stessa capitale del regno, sciente e veggente il Governo, fu innalzato e aperto a tutti queltempio cui non manca veruna delle condizioni della pubblicitá ?

Che se ia ommissione del predicato pubblici alla parola culti non pregiudica all’esercizio pubblico dei culti, come è dimostrato, niente piú vi pregiudicano quelle parole : nei locali ad essi cultidestincti che aggiunte furono dal Senato.

1 locali dove si celebrano gli attie i riti, che ad un culto competono, sono 0 privati e quasi domestici, o pubblici ed eziandio ai non correligionari accessibili. I culti dissidenti presero ad esercitarsi appo noi in tempio pubblico: questo è un vero storico. A fronte di tale stato di fatto e di diritto, le parole: nei locali ad essi culti destinati, non solamente non riescono a negare, ma confermano il carattere della pub- blicitá di esercizio di che i culti dissidenti sono in pos- sesso.

E dappoichè l’alinea dell’articolo £ di questa legge siatuisce che i discorsi punibili, giusta gli articoli 164 e 168 del Co- dice penale, tornano scevri di censura e di pena se pronun- ciati siano per esercizio dei culti nei locali ad essí culti de- stinati (ovvero sia nei locali pubblici), fermamente niuno oserá dubitare che di pena non siano esenti se anco vengano pronunciati nell’esercizio privato della religione, nei luoghi privati, tra le pareti domestiche. Non è vietato il meno a cui fu concesso il piú: cosí con la solita semplicitá del vero il Digesto de regulis juris, lib. 21 : non debel enim, cui plus licet, quod minus est non licere.

IL

Ormai è da discorrere della soppressione dell’articolo 5 del progetto.

Proibitosi dagli articoli 2, 5 e # ai ministri dei culti, qua- lunque siano, di censurare nell’esercizio delle auguste loro funzioni le leggi dello Stato, o provocare all’odio delle nostre istituzioni, veniva l’articolo 8 a dichiarare che non varreb- bero di scusa al colpevole dei reati previsti nei precedenti tre articoli nè l’ordine del suo superiore, sia esso nello Stato