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XXIX Alla medesima Le chiede notizie, la invita a venire a Milano per le prossime feste per le nozze della figlia dell’arciduchessa Maria Beatrice d’Este, ed accenna a versi di Ippolito Pindemonte. Ornatissima dama, Temo che, se io ho fatto male lasciandole desiderare la mia prima lettera, farò forse peggio, spontaneamente importunandola colla seconda Nondimeno io non posso resistere alla voglia di dimostrarle eh’Ella non può esser dimenticata da chi una volta ha avuto l’onore di vederla e d’udirla, e, quel che è piú, di vederla e d’udirla con un animo ed un cuore simile al mio. Negherá Ella di credermi che da gran tempo i miei pensieri non vengano piú volte al giorno a Verona? Se Ella noi credesse, farebbe non meno torto a me che a se medesima. Tuttavia questi pensieri, qualora per necessitá sono richiamati a Milano, non mi portano veruna novella né della salute né degli studi né de’piaceri di lei; ed io oggimai non desidero di sapere piú altra cosa che questa. È dunque forza che io a lei scriva, pregandola che si pigli il disagio di rendermene qualche conto. Che fanno cotesti ocelli vivacissimi, cosi validi interpreti della penetrazione e della energia del di lei animo? e coteste labbra, dalla cui poderosa muscolositá viene con tanto impeto scagliata la persuasione? A quale de’ piú gentili e de’ piú colti cavalieri veronesi od estranei si volgono essi o parlano piú di sovente? Sopra tutto quali cose dettate dalla niente si bene ornata ed inspirata dalle muse, quali cose sta deponcndo in carta quella bella mano, che, tre o quattro volte da me veduta, ha stampato nella mia memoria cosi profonda immagine di sé, non tanto perché bella quanto perché appartenente ad una persona fornita di tante grazie e di tanti meriti? Non credo io giá che