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xvii - la gratitudine 343


          Simuli quei, che piú sé stesso ammira,
fuggir l’aura odorosa
che da i labbri di rosa
la bellissima Lode a i petti inspira;
165Lode, figlia del cielo,
che, mentre a la Virtú terge i sudori,
e soave origlier spande d’allori
a la Fatica e al Zelo,
nuove in alma gentil forze compone;
170e, gran premio dell’opre, al meglio è sprone.
Io non per certo i sensi miei scortese
di stoico superbo
manto celati serbo,
se propizia giá mai voce a me scese.
175Né asconderò che grata
ei da le labbra melodia mi porse,
quando facil per me grazia gli scorse
da me non lusingata;
poi che tropp’alto al cor voto s’imprime
180d’uom che ingegno e virtudi alzan sublime.
     Pur, se lice che intero il ver si scopra,
dirò che piú mi piacque
allor che di me tacque,
e del prisco cantor fe’ plauso all’opra.
185Sorser le giovanili
menti, da tanta autoritá commosse:
súbita fiamma inusitata scosse
gli spiriti gentili,
che con novo stupor dietro a gl’inviti
190de la greca beltá corser rapiti.
     Onde come il cultor, che sopra il grembo
de’ lavorati campi
mira con fausti lampi
stendersi repentino estivo nembo;
195e tremolar per molta