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iv - la notte 253


gran nipoti romani a lui sovente
ne commetton la cura: ed ei sen vola
d’una in altra officina in fin che sorga,
420auspice lui, la fortunata mole.
Poi di tele ricinta, e contro all’onte
de la pioggia e del sol ben forte armata,
mille e piú passi l’accompagna ei stesso
fuor de le mura; e con soave sguardo
425la segue ancor sin che la via declini.
     Vedi giugner colui che di cavalli
invitto domator divide il giorno
fra i cavalli e la dama. Or de la dama
la man tiepida preme; or de’ cavalli
430liscia i dorsi pilosi, ovver col dito
tenta a terra prostrato i ferri e l’ugna.
Aimè, misera lei, quando s’indice
fiera altrove frequente! Ei l’abbandona;
e per monti inaccessi e valli orrende
435trova i lochi remoti, e cambia o merca.
Ma lei beata poi, quand’ei sen torna
sparso di limo; e novo fasto adduce
di frementi corsieri; e gli avi loro
e i costumi e le patrie a lei soletta
440molte lune ripete! Or vedi l’altro
di cui piú diligente o piú costante
non fu mai damigella o a tesser nodi
o d’aurei drappi a separar lo stame.
A lui turgide ancora ambe le tasche
445son d’ascose materie. Eran giá queste
prezioso tapeto in cui distinti
d’oro e lucide lane i casi apparvero
d’ilio infelice: e il cavalier, sedendo
nel gabinetto de la dama, ormai
450con ostinata man tutte divise
in fili minutissimi le genti
d’Argo e di Frigia. Un fianco solo avanza