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NOVELLA VIII

Tomaso promette venticinque ducati a uno notaro, che lo consiglia come dee fare per non restituire alcuni denari mal tolti ; e poscia, dal notaro ricercato dei venticinque ducati, contra di lui si prevale del consiglio che contra gli altri egli dato gli aveva.

Fu giá nella gentile e ricca cittá di Brescia un giovane detto per nome Tomaso de’ Tornasi, casato nobile e antico di essa cittá. Rimase costui senza padre e senza madre, solo erede di uno grandissimo avere; ma a lui avenne come il piú delle volte avvenir suole a’giovani incauti, i quali, poco considerando o temendo quel che può loro accadere, si lasciano in preda alle lascivie, a’ giuochi e a compagnie dannose e vergognose, né ad altro pongono cura che mostrarsi grati e liberali a ruffiani, a buffoni e a parasiti, i quali a guisa di camaleonti, con false e lusinghevoli adulazioni, di mille colori secondo l’occasione dimostrandosi, gli cavano non pure i denari della borsa, ma le fondamenta delle case e delle ville, e il cuore gli trarriano anco del petto, se tornasse in loro prò: cosi sanno questi manigoldi la lor arte maestrevolmente usare. Costui di simili compagnie non lasciò la prattica, che si trovò nello spazio di quattro anni aver consumata ogni sua sustanza, ed essergli restato di tanta ricchezza solamente un suo poderetto poco fuori della cittá, posto sopra una di quelle colline, oltre modo ameno e dilettoso, si come infiniti simili ce ne sono da diversi gentiluomini posseduti, e chiamansi questi tai paradisetti (ché «paradisi» per la vaghezza loro chiamar si possono) «ronchi». Vedendo Tomaso non essergli restato altro di tante belle case e ville, che egli posseder soleva, che quel picciolo luoghetto, dal quale, per esser luogo piú tosto di piacere e pieno di frutti che da raccoglierne né grano né vino, malamente le spese trarre ne poteva per la sua persona sola, non che all’usato intrattenerne