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Valerio in questa guisa con piú corna che piacere, e tale fu il frutto che egli colse della sua presunzione chente egli meritava, percioché a lui fu fatto quello che egli tuttodí’ ad altrui cercava di fare. 11 tutto doppo poco per tutta Parma si seppe, a tale che il misero non pure che le mogli altrui piú vagheggiasse giamai, ma per molto tempo non ebbe ardimento di guardare uomo vivente in faccia.

Finita che ebbe il Molino la sua leggiadra novella, uomo non fu che non desse nel riso e che sopra modo non commendasse la strada che tenne Teodoro nel vendicarsi dello oltraggio che Valerio gli apparecchiava di fare. E appresso di molti altri simili a Valerio ne furono nominati, non men di lui vani e alti di cimiero, i quali, mentre procacciono di covare le uova altrui, si truovano con poca loro fatica le case piene di pulcini. Posto fine che fu al ragionare di questi pescaventi, il Molino, voltatosi al conte Vinciguerra, disse che, quando in piacere a lui fusse, avrebbe avuto grato che egli la sesta novella detta avesse. Disse allora il conte: — Io farò volentieri sempre ogni cosa nella quale io conoscerò compiacervi, magnifico Molino; ed èmmi sovenuto uno accidente accaduto in Genova, il quale mi pare che assai bene si confaccia dietro a quello che ha raccontato Vostra Magnificenza, non perché egli sia del medesmo soggetto né che si pareggi al vostro di bellezza, ma si bene perché, si come il vostro appresso al fine colma altrui di speranza e poscia con grandissimo suo danno e vergogna lo lascia, cosi questo ch’io narrarvi m’apparecchio, per lo contrario, similmente appresso il fine con assai danno ad un giovane toglie ogni speranza, e poscia, con grandissimo suo piacere, contento d’ogni suo desiderio Io rende