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che Arsinoe fece nella prigione? di liberare altrui, quantunque caro gli fosse stato, con mettere se medesimo in affannoso pericolo, che morte gliene seguisse? Direi certo che l’immenso e possente amore in quel punto avesse accecata Arsinoe a non conoscere si gran rischio a che essa si poneva, facendo fuggire di prigione il marito, col rimanervi essa; se d’altra parte non avessi sentite le parole, da lei dette con si fermo proposito, di dover morire per lui, quando cosi fosse piacciuto al principe. Il che ci dimostra che non improvviso, inconsiderato e temerario consiglio la vi spinse, ma una rara virtú, uno stabile proponimento e fermissima disposizione di morire, se bisognasse, per la salvezza del marito. Vedesi che fu simile Arsinoe alla antica Alceste, reina di Tessaglia, della quale si dice che, avendo essa il marito infermo, ed essendole stato risposto dall’oracolo ch’allora il re sarebbe sano quando alcuno degli amici suoi per lui morir volesse, non ritrovandosi chi fosse disposto a porre la vita per la salute del re, Alceste sola per la sanitá del marito alla morte si offerse: donde avenne poi che favoleggiarono i poeti che essa ebbe grazia e dono dagli iddíi di ritornare in vita. Somigliante fine si vide avere il caso di Arsinoe, la quale, ridotta in potere del prencipe, rea della vita del marito proprio, tanto le fu benigno il cielo e tale si dimostrò la virtú di lei al cospetto del tiranno, che, avendole egli quasi riverenza e rispetto, si astenne d’incrudelire verso una donna tale. Conciosiacosaché il crudo e duro animo di Nicocle, ammollito da si grande amore e virtú di Arsinoe, si temprò si. che gli parve degna di lasciarla partire impunita. Ma, conoscendo che a me ancora conviene dire alcuna cosa, mi si para davanti uno avenimento, d’infortuni e di vari casi pieno, nel mezo de’ quali essendo una giovane posta, voi vederete con che casto amore quella serbasse al suo marito la matrimoniai fede e come nel piú verde fiore dell’etá sua pudicamente vivesse, senza contaminare in parte alcuna quella bellezza, che la natura congiunge insieme cosi nimica alla onestá.

Secondo ch’io giá udii altre volte raccontare, fu in Genova un giovane mercatante assai ricco, nominato Gianotto, il quale.