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NOVELLA XVII

Camilla, giovane semplice, da una disgrazia accadutale prende occasione e astutamente alla madre marito dimanda.

L’altro giorno mi fu raccontato uno accidente che intravenne, né ha ancor molti mesi, in Milano, il quale per contenere in sé una astuta semplicitá, ché cosi credo poter dire, degno mi pare d’essere ragionato alle Signorie Vostre, e perché troppo mi viene in proposto per dimostrarvi onde è nasciuto quel volgar proverbio che si suol dire in Lombardia: «Io mi sento andare i gamberi per la cavagna», il quale molti dicono e non sanno dove egli avesse principio, e impropriamente ancora lo accomodano ne’ ragionamenti. Fu adunque in Milano una vedova rii onesta famiglia, alla quale solamente del morto marito restata era una figliuola, ancoraché di molti parti avuto n’avesse. Era la detta figliuola chiamata Camilla, giovane veramente piú tosto sempliciotta che altramente. Avenne che, essendo ella ornai di etá di sedeci anni, ed essendo di fuori ad una lor villa con molte altre fanciulle nobili di Milano e con la madre per diporto andata, le prese talento con le sue compagne di spogliarsi nuda ed entrare in una fonte che per mezo un suo giardino, fresca e come il cristallo chiara e trasparente, discendeva. Per che, invitate le compagne, nella fonte, ignuda come nacque, si calò, si che l’acqua per infino alle mammelle le arrivava. E cosi, con le altre scherzando in mille modi, avvenne che un gambaro, uscito della solita tomba, per caso a lei arrivando, trovò dove nascondersi. Onde la fanciulla, sentendosi pungere colá dove manco si temono le punture, subito, meza ispaventata, con la mano a ricercare incominciò, e quello essere un gambaro conobbe; il quale, tosto che senti toccarsi, piú in

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G. Parabosco, Opere l’arte.