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amata perfettissima e nobilissima, egli non può amare perfettamente; perché tutti i veri amanti conoscono o stimano le amate loro d’infinito valore, altramente non potriano amare. E, se è questo, come si potrá dunque dire che nasca poscia tanta arroganzia in esso amatore, che voglia che cosa di tanta perfezione, come è la grazia della cosa amata, sia premio di faticuzze e operazioni vane e di nessun valore? E, se pure io vi volesse concedere che queste fatiche non dovessero essere senza qualche ricompensa, io vi dico che colui deve tenere essa ricompensa, ancoraché egli pianga, dal piangere, conoscendo pianger per cui ciò gradisce. Né so qual maggior piacere possa avvenire ad un vero amatore che il vedersi nato a contentare la cosa amata. — Volle rispondere il magnifico Moresino, ma fu pregato che cosi lasciasse che il conte Ercole fosse l’ultimo a finire, come era stato il primo a incominciare; e tanto piú che con si belle ragioni e con tanta prontezza e gagliardia aveva ciascuno di loro incominciato, che per quella sera non se ne poteva sperare il fine. Fu il magnifico Moresino di ciò contentissimo; e, sopra modo lodando il conte Ercole delle sue sottili ed argute ragioni, si tacque. E lo Molino il carico dell’altra quistione a mcsser Giambattista Susio e al magnifico messer Pandolfo Goro diede, e volle che il Susio togliesse a provare che lo amore fosse in noi cagionato da destino, e che il Goro sostenesse che per elezione e non per destino s’innamorasse l’uomo.