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xiv. - Pècore e uòmini 153


I danni della guerra? Come la grandinata di ieri! Tranne i pochi colpiti, chi se ne ricorda più oggi? Ieri il cielo era nero, oggi è azzurro. Ieri i passerotti stàvano nascosti, e oggi càntano e sàltano. Io suppongo che dopo cinque, dieci anni, i morti in guerra ritòrnino alle loro case. Essi cèrcano trepidanti il loro tetto, il loro letto, il loro posto alla mensa. «Oh, i benvenuti», ma un altro già dorme su quel letto, e il posto alla mensa è ristretto. «Tornate, tornate ove eravate!»

Anche le povere mamme sono morte, frattanto.

Però, invidiàbile giòvane della Ditta Darük und Sohn, che non pensi a queste cose! Io non posso tenere giù il sipàrio del cervello. Appena poche ore di sonno: poi gli occhi si àprono; e trovo il sipàrio alzato; e i burattini della vigìlia contìnuano la loro rappresentazione.

Guardavo con stupore fuori della finestra le verdi piante, il bell’azzurro, i cantanti augelletti.

Via, speriamo che presto cali il sipàrio su tutti questi orrori del mondo.