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178 i trionfi di eva

delle sue idee e retrocesse, in altri termini uscì dal negozio ove occhieggiavano le fiale velenose in fondo alle quali cova un Asmodeo, loico e demoniaco. Non però che prima non consegnasse ad una di quelle banchiere tutto l’incartamento sul divorzio, pel quale e sul quale doveva conferire col senatore X***. Quell’incartamento anzi tutto gli usciva dalle tasche del soprabito e stava male, inoltre lo sapeva tutto a memoria.

«Crede Ella (domanda ottava) che in un popolo pervenuto ad un alto grado di civiltà dove è ammessa la indissolubilità del coniugio, l’introduzione del divorzio rappresenti un progresso?»

Cosa posso credere io? Io credo, io credo, io credo che far da salice piangente sull’argine del fiume dove corre il torrente dell’umanità sia professione infelice fra le infelicissime! Questo io fermamente credo: — Tenga, signorina, questo pacco di carte: passerò a riprenderlo.

— Si figuri, signor commendatore! — rispose colei inchinando. — Ciò fu un colpo di stile. Anche lì era conosciuto, lì, dovunque, lì come da per tutto la sua barba e la sua dignità sono note: tutta gente che trema, che allibisce davanti a lui: tutti lo riconoscono per il temuto, il rigido custode della legge, a cui nessuno osa dire di no! Cioè, v’è una persona che non solamente osa dire, ma dice sempre di no: La marchesa sua moglie.

Il commendatore uscì molto avvilito.