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di Alfredo Panzini 391

entro come un vento di fretta, un brivido di novembre.

Un commediografo dice così: «Mi è impossibile scrivere! Quando piango, non so scrivere». Vi è anche il giudizio di una serpentina, acre, sterile poetessa, dalle carni flagellate dalla lussùria. Ma cara, cara poetessa! Cara, perchè? Perchè vieni fra noi; ci accosti magari al naso la punta delle tue scarpette impudiche; ma ami stare con i tuoi tristi fratelli del pensiero. Così ella racconta come, essendo vivo Colautti, era stata a Roma, ed aveva trascorso la serata d’aprile con lui e lui, il dì seguente, le aveva mandato «una fialetta di squisitissima essenza parigina», come ella dice. Dono e sìmbolo dell’arte della donna! Ci sono anche alcune righe strazianti e sèmplici di una Ofelia Borowska, la figlioccia adottiva del Colautti (una figlia del suo sangue, bellissima, era demente). «Ti sei ti, piccola, piccola? — disse egli guardando fiso la figlioccia pochi momenti prima di morire — Piccola, non vedi? Laggiù...... Laggiù!»

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Molti anni fa, conobbi Colautti alla direzione dell’«Alba», un giornale, obliato totalmente, di