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di Alfredo Panzini 337

Ambedue con gran spadone, cappottane, speroni, elmo dorato a drago. Pareva quel Penco una signorina, sì biondo, sì delibato egli era. L’han fatto ufficiale, li hanno fatti ufficiali. Come? Perchè?

Mi pare sia una settimana fa che Penco bussò alla nostra porta. Era ora di pranzo: lui era avvilito dell’audàcia di venire in casa a quell’ora; ma partiva domani per il fronte. L’ho fatto entrare. Lo Vedo ancora lì, tìmido, accanto alla tavola.

Stasera Meloni è venuto. Dice che Penco è già morto.

Ma se è venuto qui ieri!

— No, ieri, professore, una settimana fa.

— Ebbene sia pure una settimana fa. Ma come, appena arrivato è già morto?

«È orribile; è la morte certa sul Sabotino! Chi c’è stato una volta non torna più all’assalto».

Così volevo dire ma mi trattenni. Meloni mi guardava con due occhi stùpidi come i conigli.

Anche Meloni, infermiccio, ignorantello, come è, l’hanno promosso ufficiale, lo hanno fatto partire per Aquileja, senza nemmeno rivedere la madre. La povera signora diceva che sarebbe stata felice di lavorare dall’alba alla sera: lavorare come una negra, ma andare a letto all’ave-maria senza quella spada del suo figliuolo nel cuore.