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cio, vi immersi la punta della lama. Più profondamente premetti che non fosse necessario; ed un forte rivoletto di sangue, del mio sangue, rutilò. Lo contemplai con occhi sbarrati: scendeva giù per l’avambraccio, scuro, e si veniva grumando nella mano. Poi che l’ebbi deterso alquanto, scrissi col mio sangue. Che cosa scrissi? Non ve lo saprei ripetere. Poche parole, ma parole di sangue; ma degne di essere scritte col sangue. Poi mi si appannò la vista; mi parve che un’aria, quasi gelida, asciugasse il sudore della fronte. Un gran languore mi colse. Caddi riverso sul letto, e mi addormentai profondamente.

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*  *

Cadeva il vespero quando i miei occhi si riapersero. I bagliori sanguigni del tramonto sereno entravano nella stanzetta muta. Mi ricordai. Balzai per prendere il foglio dove avevo consegnato al mio sangue la confessione del mio amore.

Il foglio era scomparso!

V’erano bensì sul pavimento due o tre fogli del mio taccuino, ma quello con la lettera era scomparso.

Qualcosa di terribile balenò allora nel mio cervello. Io non vi ho detto di alcune gelosie che nutrivo in segreto per la bellissima donna. Ella ne era del tutto innocente: ma un barbuto signore del luogo, assai prepotente e ricco, e di sospetti costumi, troppo spesso e troppo da vi-