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leggi. Ma il nostro dovere di uomini civili è di non pigliarlo sul serio il codice semi-barbaro della natura. Frodarle fin dove si può queste leggi! Questo sì è il segreto della vita!

— E se non si può? — richiese il signore.

— Se non si può — disse in tono di suprema rassegnazione il giovane, — si è dei deboli, cioè bisogna accettare di essere infelici. Ecco tutto. Ma bisogna potere! Pensi, caro signore: non abbiamo mica noi, nascendo, approvato, firmato e sottoscritto il contratto feroce che la Natura ci ha imposto! È lei che ce lo ha imposto. Chi non lo sa? È una delle prime nozioni di fisiologia: alla natura brutale niente importa di noi, ma la conservazione di noi come specie. Invece a me importa moltissimo di me e niente affatto della conservazione della specie. Io perciò come persona intelligente, mi ribello ai decreti imperiali della natura, o quanto meno cerco di raccogliere le rose e buttare via le spine. L’Argia, quest’amabile fanciulla, possiede anche lei un’intelligenza filosofica istintiva e condivide queste mie idee; e perciò tutti e due facciamo un amore facile, piacevole, direi così, sportivo; e molti giovani fanno come noi, e fanno saviamente. E lei che mi risponde ora, caro signore?

L’uomo chinò il capo.

— Lei è destinato ad essere più felice di me, e perciò a vivere di più — disse e guardò a lungo la sua piccola Pina.