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questo marito, questo esseraccio spregevole che si chiama marito, si riempie l’epa, beve come un facchino, dorme come una talpa, va a spasso, digerisce stupendamente e non s’accorge d’una povera donna che soffre, che sta male, che muore; una donna tanto gentile, elegante, fine, buona, intelligente, sì, intelligente per un uomo che mi sappia intendere, una donna che avrebbe fatta la felicità di qualunque altro che non si chiamasse Marx Giraldi! Ah, la mia personalità, il mio io, ah, questo voi vorreste distruggere, annientare, calpestare; voi mi vorreste ridurre alla moglie che bada al soffritto e sorveglia i buchi delle vostre calze e serve per gli usi intimi! L’avete trovata, il mio uomo, la donna che si lascia calpestare! Vendicatevi, ora, fate la mummia, il papa di gesso, l’indifferente. Vi sveglierò io, vi sveglierò! Mi voglio distrarre, capite? Distrarre! Aspettate, aspettate che stia un po’ meglio! Intanto fuori i soldi: cento lire! Chi rompe paga. Domani altra visita. Il professor Marchi non visita per meno. Se mi volete accompagnare, è al Grande Hôtel, se pure non riparte stasera.

Qui si fermò, e allora una voce rispose dietro i cumuli delle carte della scrivania:

— Io credo che cinquanta lire siano sufficienti.

— Le figure grette, meschine, esose, le lascio tutte a voi.

Allora si udì una chiavetta aprire un cassetto ed una mano porse un biglietto da cento lire.