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dèi venivano condannati a multe pecuniarie, notandosi però, che qualora non fossero in grado di pagarle erano assegnati quali servi a chiese. Quest’ultima specie di gastigo toccava anche agli indovini ed ai sortilegi.1 Tra gli uomini di nazione Franca invece, se nei delitti di magia s’aveva tinta di politica, la pena era di morte;2 i semplici indovini dopo essere stati battuti venivano cacciati dalla citta.3 Ma notevole è per mio avviso quanto si legge nel secondo Capitolare di Carlo Magno dell’805 (XXV) De incantatoribus et tempestariis. “ De incantatoribus, auguriis vel divinationibus et de his qui tempestates vel alia maleficia faciunt placuit sancto Concilio (Nicæno?) ut, ubicumque deprehensi fuerint, videat Archipresbyter diocesis illius ut diligentissime examinatione constrigantur, si forte confiteantur malorum quæ gesserant. Sed tali moderatione fiat eadem districtio ne vitam perdant, sed ut salventur in carcere afflicti usque dum Deo inspirante spondeant emendationem peccatorum. Et ut nullatenus per aliqua præmia a Comitibus vel Centenariis absque districta examinatione remittantur. Et hoc si fecerint, Archipresbyteri, dum hoc cognoverint, nequaquam Episcopis celare andeant, et ab Episcopis, ut dignum est, pro hoc corripiantur. „ — Qui trovo affermata la competenza degli uomini di chiesa nei processi per delitti che hanno relazione a magia, e trovo un vago cenno, che costoro procedessero contro gli accusati con troppa severità, perché è loro raccomandato di usare moderazione; dal che mi pare lecito conchiudere, specie se considero le parole tali moderatione fiat eudem districtio ne vitam perdant, che fosse già prima del secolo IX invalso nel processo ecclesiastico-penale l’uso della tortura, o quello di mandare gli accusati di tali crimini a morte. Ond’è che deve darsi lode a Carlomagno della umanità che inculca, quand’anche sia a dubitarsi, se le sue raccomandazioni portassero molto giovamento.


  1. Ibid. XXI, XIII.
  2. Qui de salute principis vel summa reipublicæ mathematicos, ariolos, aruspices vaticinatores consulit cum eo qui responderit capite puniatur. Capit. L. VII, 370.
  3. Ibid. L. VII, 222.