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156 parte prima

Leggi argentine, dei buoni terreni che i Cristiani limitrofi o vicini considerano come prossima loro preda.

Non usano il commercio: e come potrebbero usarlo senza agricoltura e senza industrie, tutti perequati e nomadi? Nondimeno usano in piccola scala il cambio, unica forma primitiva di commercio in embrione: e non hanno nemmeno le parole corrispondenti a vendere e comprare; e per esprimere queste idee si direbbe fossero andati a scuola da un economista a imparare il do ut des, la formula del cambio: perchè infatti i Mattacchi, per esempio, per dire vendimi dicono atchioch nichioch cioè dammi ti do.

Si comprende quindi che non hanno moneta; la parola però se la sono formata per chiamare lo nostra quando l’hanno vista: ed essa è tra i Mattacchi tdóch-chjnat, che vuol dire cuoio e pelle di metallo, chjnat essendo la parola generica che esprime qualunque metallo che non esiste, nè circola nella pianura del Ciacco.

Nondimeno, una specie di moneta, sempre al solito in embrione, la posseggono gli abitatori del Ciacco in una materia per dipingersi, che è preziosa per essi anche in piccolissimi volumi. A Santa-Cruz, in Bolivia, è chiamata urucú la pianta che la dà, e la sostanza che produce, si ottiene facendo bollire notte e giorno il frutto, che lascia alla superficie la materia colorante, la quale si raccoglie e si riduce in pallottole di diversa grandezza. Il colore lo dà la buccia del pomo, che è della grandezza di un’arancia; la buccia nerastra pel color nero, gialla aranciata pel rosso e bianca pel verde; queste due ultime sono della grossezza d’una noce. Tutte e tre vengono d’una diversa specie di urucú, che son piante alte come un uomo, con i frutti grossi come quelli del melagrano, che si aprono da sè quando son maturi.

Questa sostanza, benchè prodotta e fatta in Bolivia, circola tra tutti gli Indiani del Ciacco; e serve loro per tingersi di rosso in segno di amore, di nero in segno di terrore e di verde