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152 parte prima

loro espansione e della tenacità che offrono all’azione distruggitrice delle vicende inevitabili dei tempi. Solamente è lamentabile, che lo stato del genere umano non sappia ancora trovare lo svolgimento delle sue ragioni storiche e l’attuazione delle sue funzioni sociali fuori della religione, lo sgombro della quale impone più tardi tante fatiche e tanti danni da farne maledire i benefizii ricevuti a suo tempo. E questo sia detto con tutto il rispetto del mondo per tutti i fedeli di tutte le religioni passate, presenti e future.

Questi Indiani non distinguono le stagioni che per le raccolte a cui danno luogo: così dicono l’epoca dell’algarroba, quella del mistol, l’altra della cova, ecc. E come potrebbero infatti principiare da dividere l’anno in mesi o in lune se non contano più di quattro? Questo stesso, anzi ci garantisce a priori che non si sono mai curati di afferrare le regole del movimento della terra, o del sole per dir relativamente meglio.

È cosa curiosa però che dividono il giorno in una immensità di parti espresse secondo l’altezza del sole e che tengono luogo delle nostre ore. Essi poi distinguono diverse costellazioni, come le pleiadi, venere, la via lattea, il centauro.

Intanto non hanno la parola che esprima l’anno.

I Mattacchi ne hanno una, ch-lúpp che vuol dir epoca, e che è d’un periodo indeterminato come tra noi l’epoca; per giorno dicono sole (i-quá-la), e per mese luna (i-gue-lách). Conformi in questo col linguaggio di tutti i popoli, che presso noi è rimasto genuino nel linguaggio poetico, e nel volgare ha sofferto progressivamente tali trasformazioni da far apparire le parole relative come indipendenti dal primitivo loro significato materiale di sole e di luna.

O che la luna la assomiglino a un lume o piuttosto il lume ad una luna, il fatto si è che chiamano con lo stesso nome la luna e una luce.

Ma non il fuoco, a cui devono attribuire qualche speciale proprietà, perchè i Ciriguani condannano ad essere bruciati i