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principal companatico de’ Morlacchi, durante il Verno. Questo è un cibo nauseante per gl’Italiani, come le rane per alcuni Morlacchi, di che faremo parola nel fine di questo paragrafo. Ma in buona fè, può essere veruno giudice competente di colse non gustate? Se i Romani erano contenti, quando avevano il pane, e gli spettacoli, panem & Circenses, i Morlacchi lo sono altrettanto, e forse più, quando ànno il pane, ed i cavoli. Le derrate andorno malamente, dicono essi, se i cavoli non fruttano, tuttochè delle biade vi sia in sufficiente copia. Si attrova varia sorte di erbaggi nelle Campagne loro, con cui si nutricano ne’ giorni Quaresimali, giacchè osservano inviolabilmente il digiuno, ed in questo pizzicano alle volte di Grecismo, ove per qualunque malattia non è lecito franger il digiuno, o di mutar cibo. Quindi è, che mangian porri, scalogne, agli, cipolle, e tutto ciò, che digiunando riesce di minor costo, ed ingrato a chi à cibi migliori, e gusto più dilicato. Il Fortis dice, che avendo i Morlacchi anche cibi migliori, non si asterebbono peranco di mangiar aglio „ cibo più universalmente gradito dalla Nazione, dopo le carni arroste “. Ma qui egli parla a caso, ed io non vorrei augurargli la disgrazia di far l’esperienza a proprie spese, per chiarirsi. Per venir in cognizione in qual concetto abbiano i Morlacchi l’aglio, basta la seguente favola morale, che corre fra essi loro. L’aglio, dicono i Morlacchi, correva dietro i Dei, perchè gli fosse assegnato un qualche rango tra’ companatici. Fu decretato fra’ Dei che l’aglio dovesse servir di companatico agi uomini, quando non avranno altro a mangiare. È cosa certa, che nelle vaste campagne della Morlacchia non vi sono piantagioni di cipolle, sendovi grandissimo con-