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dal volto, sotto cui eravamo, con continuo rischio di romperci i piedi, e di fiaccarsi il collo. Convien credere, che questi sfaldamenti sieno successi ne’ tempi assai lontani, da che grandissimi pezzi degli stillicidj si formarono sopra i sassi stessi. Il fondo marmoreo, su cui camminavamo, i volti che sopra noi vedevansi, moltissime delle fatture stalattitiche, che osservavansi eran di gran lunga più tetre, è più nere di quello, che i Pittori, ed i Poeti ci sanno pingere, ed ideare i Demonj, ed il baratro Infernale. Uno de’ Morlacchi, ch’era meco, esclamò „se questo non è un ramo dell’Inferno, e quale mai sarà„? L’altro gli rispose „Vorresti tu, che nell’Inferno vi fossero così belli lavori?„ In fatti, se si osserva l’orrida nerezza di questo antro da una parte, i varj, e moltiplicati lavori della Natura dall’altra, si potrà ben dire, che in questo Inferno vi è qualche buon pezzo di Paradiso, e degno mi comparisce de’ riflessi di qualunque saggio, e diligente perscrutatore de’ secreti Naturali. Io non mi persuaderò mai, che la nerezza di questo angolo Cavernoso provenga dal fumo, cui gli antichi Selvaggi potevano comunicare alle pareti, anzi mi persuado, che forse quivi neppur vi penetrassero, e resto assai strasecolato, che il Fortis nel suo viaggio sotterraneo dia la colpa della nerezza agli antichi barbari, che abitarono colà dentro. 1

Percorso lo spazio di cinquanta passi, benchè si potesse gir più oltre, noi tornammo a spuntar nella Sa-

  1. „Da quelle angustie si passa in luoghi, meno impraticabili, ma sempre ugualmente orrendi, e resi più tetri là, dove sono più spaziosi, dalla negrezza delle pareti affumicate. Fort. Vol. 2. p. 65.