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chia, ha fatto quivi diverse Pitture, tra le quali un San Francesco inginocchioni in atto di ricever le Stimmate, il qual si vede nell’Aitar laterale a man diritta per andar all’Altar maggiore della nostra Chiesa di Tergoviste”1.

Parla poi delle „fornaci de’ Vetri” a due miglia da Târgoviște, dicendo che, „quei Vetri riescono assai chiari e netti, benchè sieno di colore azzurro”, che vetri di colore più bianco „vengon portati dalla Polonia”, che i nobili sogliono procurarsi cristalli finissimi, facendoli venire da Venezia o dalla Boemia, e finalmente, „per tornare all’ingegnosa capacità de’ Valachi” conchiude osservando com’„eglino sappiano imitare ogni sorta di manifattura non tanto alla moda Turchesca, quanto alla Italiana, Tedesca, Francese, ec.”, con le quali parole il buon Del Chiaro tende a rivendicare all’Occidente (e all’occidente latino più di quanto le parole non dicano) la civiltà rumena ancora in fasce, rilevandone la tendenza a imitar l’arte italiana, tedesca e francese a preferenza di quella turca e bizantina, il che in fondo non corrisponde al vero, ma vaie a mostrarci un simpatico interessamento del nostro viaggiatore, che, nello strazio di dover constatare come su questa bella e fertile e nobil terra latina si fosse distesa l’ombra aduggiatrice della scimitarra infedele; cerca sottrarre a quell’ombra e far rifulgere al sole della civiltà latina e cristiana tutto quello che può senza contraddir troppo acerbamente ai fatti: la cultura dico e le caratteristiche spirituali degli abitanti, onde il suo libro appare a tratti come una protesta vigorosa contro il diritto del più forte, una denunzia alle nazioni civili della inaudita crudeltà orientale, una novissima e ardita crociata dello spirito. Non tocca a me dire dell’importanza che questo libro del Del Chiaro ha per gli studiosi di cose rumene, specie nella seconda parte, dove parla delle Moderne rivoluzioni della Valachia e tratta delle signorie dei principi che vi regnarono dal 1709 al 1714, durante i quali anni il Del Chiaro visse in Rumania2. Le signorie di Scerbano Can-

  1. Op. cit., pp. 41—42.
  2. Non c’è infatti storico rumeno che non lo citi, attribuendo alle sue parole valore di testimonianza preziosa. — Più degli altri mostra d’apprezzarlo il Iorga, che lo cita quasi da per tutto nelle innumerevoli memorie che ha dedicato a illustrar la storia dei rapporti politici e letterarii intercessi in antico fra la Rumania e gli altri Stati d’Europa. Sappiam da lui che il Del Chiaro aveva un a-