Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/127


— 127 —


accontentata di riecheggiare, se non sempre negli argomenti, nei procedimenti artistici, quella francese contemporanea. Non possiam dire che lo stile drammatico del Delavrancea sia esente da difetti, in quanto spesso, come quello D’Annunziano, pecca per un certo eccesso di lirismo e desiderio di grandiosità, che talvolta degenera in retorica ed oratoria; ma, per ciò che riguarda l’evidenza in cui mette in iscena e fa rivivere personaggi ed epoche dell’antica storia romena e per altezza e nobiltà di tono, si eleva molto al disopra della letteratura drammatica de’ suoi tempi, sì che anche oggi, quando si vuole offrire ad un ospite straniero lo spettacolo di una visione storica esatta e colorata della vita romena antica, non si può fare a meno di ricorrere alla trilogia del Delavrancea.

Riportiamo una scena di «Apus de Soare», facendola precedere da un breve riassunto:

RIASSUNTO. — Nell’autunno del 1503, Stefano il Grande si trova con sua moglie Maria nel castello di Suceava in Bucovina. È invecchiato e soffre sempre della sua ferita al piede, per curar la quale’ la Signoria di Venezia, coll’avviso «de’ medici de Padoa» gli aveva mandato il «ciroico Hieronimo da Cesena. Malgrado ciò parte in guerra contro i Polacchi per ritoglier loro la Pocuzia. Nell’estate seguente ritorna vittorioso, ma la ferita al piede, trascurata ad onta dei consigli del medico, è divenuta sempre più dolorosa. Le cose sembran riprendere il loro corso, quando viene a scoprire una congiura. Alcuni «boieri» s’eran messi d’accordo per far succedere ad vecchio Voda un suo nipote invece del figlio Bogdan, che Stefano aveva designato come suo erede. Allora decide di riunire il consiglio dei «boieri» per il 1° luglio. Intanto i medici decidono di cauterizzargli la ferita non appena finito il consiglio. I «boieri», compresi quelli che hanno ordito la congiura ed ignorano che sia stata scoperta, si riuniscono e Stefano, davanti alla sua corte ed ai soldati, dice quanto segue:

Stefano (s’alza da sedere). — ...Guerrieri, Signori, Cortigiani, vi ho riuniti qui a consiglio perchè mi siate testimoni per quando non sarò più tra voi. Sono quarantasette anni... molti e pur mi par ieri... da quando la Moldavia intera mi venne incontro col suo Metropolita, i suoi Vescovi, gli Abati de’ suoi monasteri, i Boieri, i contadini liberi e tutto il popolo nella Pianura della Giustizia, e come volle la Moldavia, volli anch’io. Poi che ella volle un Principe giusto ed io non ho ammiseriti gli uni per arricchire gli altri..., poi che essa volle un Principe avveduto ed io ho vegliato perché potesse riposare il suo spirito stanco..., poi che essa volle che il suo nome fosse da tutti onorato e rispettato ed io ho fatto sì che questo nome passasse i confini, da Calla a Roma, per un miracolo di Gesù Nostro Signore...

L’Hatman Arbore. — Il nome della Moldavia è anche il tuo, Maestà.

Tutti. — È vero!

Stefano. — No!... no!... Io sono stato vinto a Răsboieni ed a Chilia.