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rati, di cui la sola presenza sospettata sarebbe bastata a sconvolgere istantaneamente tutti gli uffici della Terza Sezione, la grande guardia politica dell’impero? Riandava sottilmente tutta la scena trovando strano egli stesso di essere stato ricevuto. Certo il Comitato aveva sul conto suo informazioni anche più rassicuranti di quelle che Kriloff aveva potuto fornire. Pensò al colonnello Lavrof, che gli aveva testimoniato a Zurigo una fuggevole amicizia, a Plachenov il celebre critico della rivoluzione francese, emigrato anch’egli a Ginevra, ad Eliseo Reclus il grande geografo, a Krapotkine il principe esiliato, a tutti gl’illustri nichilisti conosciuti all’estero, coi quali aveva sempre trattato alteramente; pensò agli antichi compagni d’università, cui si era mostrato sempre nella infrangibile unità del proprio sistema rivoluzionario, pensò all’immenso potere, al portentoso servizio d’informazioni, di cui il Comitato doveva essere provvisto nella sua lotta titanica contro lo czarismo, e non pertanto la facile prontezza di quel colloquio gli rimaneva inesplicabile. Nessuna difficoltà, nessuna goffagine teatrale: le piccole maschere di quei cinque non erano nemmeno abbastanza grandi per coprire loro tutto il volto; ad uno aveva notato le fedine grigie, di un altro ricordava una fine cicatrice bianca sulla fronte, di un terzo aveva osservato la forma troppo allungata del cranio. Nessuno di loro portava guanti.