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vegliava sempre, e una equazione involontaria del proprio interesse con ogni avvenimento o disegno si formava in tutti i giudizi; nel secondo il calcolo personale non sorpassava mai lo stipendio e non si destava che a qualche maggiore ristrettezza economica, mentre il suo pensiero si alzava sulle osservazioni per ordinarle in serie e formarne un codice.

Quest'uomo, che quasi tutta l'umanità doveva condannare come il teorico della immoralità, è un moralista: non inculca il bene ma studia il male, pessimista come tutti i moralisti veri. La sua passione suprema è l'analisi, il suo trionfo la formula: un caso per lui non è bello se non perchè è un problema, non è utile se non perchè sciolto può preparare la soluzione di un altro. Un disinteresse d'artista e di scienziato lo distingue da tutti coloro che operano e studiano con lui. Egli s'oblia nella osservazione.

Del resto ha i costumi del suo tempo; non è ateo ma irreligioso, prende le donne come un balocco; solo gli affari gli paiono importanti, perchè allora gli affari decidevano spesso della vita. Nella politica del secolo la frode e l'assassinio erano mezzi talmente comuni, che la coscienza pubblica riconoscendoli malvagi, non vi trovava più nulla di anormale, e Macchiavelli li accetta. Il mondo andava così. Ma il cinquecento era, e si vide bene nelle