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e ottenuto da Lorenzo il Magnifico, altrettanto fino politico che poeta, era cessato: i Francesi l'avevano invasa e non se n'erano andati che per ritornare.

Pisa ribelle a Firenze si avvicinava ad un'agonia senza gloria, profetando nella propria fine quella di tutti i municipii ancora liberi nei vecchi ordini, o indipendenti per le armi di qualche signorotto isolato nella disgregazione del sistema feudale. Genova era in preda alle ultime fazioni famigliali osteggiantisi per la supremazia: Venezia erede della universalità e del governo romano era cosmopolita nel commercio e aristocratica nel patriziato, palladio e tiranno della sua vita più ampia che nei regni recentemente riuniti, più florida che nei comuni meglio dotati, più duratura che nelle stesse monarchie destinate a prendere il posto delle repubbliche. La Romagna, la Marca e l'Umbria lacerate dagli ultimi feudatari conniventi o contrastanti coi papi vivevano nella miseria e nei massacri. Milano dopo il dramma astuto e infelice del Moro si accorgeva di non avere ormai più signore indigeno, e si preparava alla gloria umiliante di un vicereame conservando nella nuova tendenza alla servitù la cupidigia conquistatrice, che l'aveva resa nemica di Venezia e per un momento quasi arbitra d'Italia. Al di sopra dell'Italia oltre le Alpi si alzava l'ombra del sacro romano impero, autorità mistica e brutale, che pesava