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di Savoia avesse fatto per sè medesima accettando l'Italia dalla rivoluzione, erano dal nuovo governo peggio che obliati, percossi. Allora egli che, ceduta Napoli a Vittorio Emanuele, era ritornato a Caprera non trasportando sulla piccola barca, frutto di tanta conquista, che un sacco di fagiuoli, rientrò in Parlamento per ripetere con accento più formidabile di Napoleone I il 18 brumaio, a Cavour fatto sicuro dalla sgomenta inesperienza del Parlamento: Che cosa avete fatto delle mie legioni?!

Quel giorno la nuova monarchia tremò: il lampo dello sguardo di Garibaldi coperse l'aurea luce della recente corona posta dalla servile compiacenza dei popoli ancora immaturi alla libertà sulla fronte di Vittorio Emanuele. La coscienza italiana sentì uno strappo improvviso e si trovò bagnata di sangue prima ancora di aver gettato un urlo per rispondere al grido di Garibaldi.

Allora Cavour, che nel pericolo acuiva la naturale astuzia dell'ingegno, si ricordò di Don Giovanni Verità e a mezzo di Ricasoli potè condurlo a Torino per pacificare il Generale.

Don Giovanni andò, ebbe con Cavour un colloquio, nel quale la rude franchezza del montanaro umiliò più di una volta la subdola abilità del diplomatico, ma comprese tosto che la fortuna d'Italia esigeva da Garibaldi, come supremo s