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Garibaldi vinto diventava sacro come nemico, e quel prete abbastanza grande di cuore per capirlo avrebbe avuto Cristo a difenderlo contro tutti coloro che volessero rimproverarglielo. Roma, che aveva fatto decretare nel Concilio di Trento l'anatema a tutti coloro che non credessero alla necessità del potere temporale per la Chiesa, si trovava nella impossibilità di applicare la condanna: la contraddizione fra l'idea cristiana e lo spirito del papato l'impediva. La morte di Garibaldi, legittima nel concetto politico di Roma, diventava colpevole nella morale del Vangelo, secondo la quale il nemico deve essere più diletto del fratello; assurda, quando impedita dall'opera di un qualunque salvatore, si volesse astrattamente ottenerla nella condanna di questo.

Si poteva chiedere a Don Giovanni, se proteggendo la fuga di Garibaldi distruggitore del papato avesse inteso di approvarlo, ma Don Giovanni avrebbe risposto di sì, e allora il problema si complicava. O Roma gli permetteva questo dissenso, e Garibaldi aveva ragione; o glielo negava e la morte invocata contro di lui, inflitta a Ciceruacchio e a Ugo Bassi, doveva colpire Don Giovanni. Se il potere temporale è necessario alla Chiesa, questa deve conservarlo a qualunque costo, perchè nulla per una religione vale quanto sè medesima.

Ma il supplizio di un prete, docile a tutti gl'inse