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si muove. I contadini lo guardano passare svelto e superbo pei campi, seguito da soldati che di umano non hanno più che la fatica e il dolore, e abbassano gli occhi colla indifferenza di una ignoranza cui nulla più commuove, di una servitù che da secoli non ha più tentazioni di libertà. Le città e i villaggi, dove giunge, non lo ricevono o almeno non vorrebbero riceverlo, percossi dalla notizia degli eserciti che lo inseguono o meravigliati di vederlo vivo e forte, mentre una voce misteriosa lo annunziava morto ad ogni ora. L'orrore dei sacrilegi immaginari di Roma allontana da quei superstiti ribelli la pietà dei credenti, che il ritorno del papa ha entusiasmato; le amare delusioni rivoluzionarie li colpiscono, il solito disprezzo pei vinti li insulta.

Il piccolo esercito non è più che un manipolo, la stanchezza disperata delle marcie ha di già abbattuto la maggior parte dei soldati avviliti dalla indifferenza ostile del popolo. Solo Garibaldi, che non spera più, non cede ancora. Invece di irritarsi di quella viltà del popolo, la comprende e lo compiange. Tre o quattro secoli di schiavitù non si cancellano in un giorno: il popolo che non ha ancora potuto credere, malgrado ogni dimostrazione scientifica, al giro della terra intorno al sole, perchè crederebbe subito che la storia giri intorno alla libertà? I dolori centenari della sua immobilità sulla