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dell’animo è posta, non ne’ beni della fortuna. Nè alcuna sorte, o fortuna può esser tanto dura, o tanto acerba, che possa
torre la virtù all’uomo; nè può essere ad alcuno tanto prospera, o tanto gioconda, che ad uno ignorante, o di vile animo
possa dare gloria. Perchè se fosse il contrario, la elezione
della virtù non sarebbe nostra, ma contradia e strania (1) dal
benfare. Per la qual cosa, o Cornelio, rimanti del credere, che
virtù, o liberalità, o nobilità alcuna sia in abbondanza di ricchezze; perchè quandunque alcuno impoverisse, insieme colla
ricchezza perderebbe nobilità. Ma la chiarezza dell’uomo a niuno caso è suggetta. Nè ancora quelli uomini, che io ho di
sopra nominati, giammai per la loro povertà non sarebbono
stati nobili, i nomi nientedimeno de’ quali, quasi come da
essere in ogni secolo onoratissimi, dal Popolo Romano erano
reveriti.
Per le quali cose, o Padri Conscritti, se alcuni chiarissimi uomini nutricano alcuni scellerati figliuoli; e se de’ vili padri alcuna volta nascono gloriosissimi figliuoli; e se alcuna volta grandissimo splendore di virtù riluce in quelli, che vivono in povertà e in bisogno; manifesta cosa è, niuna essere nobilità o di ricchezze o di generazione. Ma l’animo libero e ingenuo, il quale non attenda a viltà o a sozzura, ma nelle ottime arti esercitato, nobile e chiaro debba essere tenuto. Sicchè, conciossiacosachè noi trattiamo della nobilità, tra noi ci resta solo quistione della virtù. Nella quale cosa, o Padri Coscritti, desiderrei, che altri per me dicesse, acciò che parlando delle mie lalde, io non incorra in vizio di troppo lungo dire. Ma grata cosa m’è questo, riguardando a’ giustissimi vostri animi, e la vostra umilissima umanità; perchè conoscete tutti voi la vita dell’uno, e dell’altro di noi. Sicchè non posso predicarvi falsità, e la verità non mi debbe nuocere.
(1) Contradio. V. A. Contrario. Stranio V. A. Estraneo: ambedue da schivare.