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almeno mi potrà torre la virtù, per la quale mi si manifesteranno mille vie alla comodità della vita. Sicchè nelli altissimi
tuoi studi potrai usare gli ozi, che tu vorrai. Niuno nel tuo
riposo, o ne’tuoi pensieri ti sturberà. Niuno romore di scelerati sgherettoni sentirai, nè alcuna paura del temerato congiugio (1) il che suole turbare i castissimi animi delle matrone. Nè ancora i dolcissimi, e amatissimi abbracciamenti ti
mancheranno, nè per quelli in alcuna cosa offenderai tua onestà. Perchè egli è una certa religione a conservare la generazione delli uomini, il congiugale amore congiunto con virtù. Certo e’ non ti potrebbe avenire più felice fortuna a’ tuoi
disiderii. Quale cosa è più beata nelle cose umane, che con
pacifica e tranquilla festa, con virtù, e con costumi consumare l’età? Quale più dolce cosa, che potere con ottimi e bellissimi pensieri nutricare il suo ferace e sottile ingegno? Quale più allegra cosa, che vivere con colui, il quale lu, ed egli
egualmente de’ tuoi desiderii, vi dilettate?
Flaminio parla al Senato, che dia la sentenzia.
Voi adunque, o Padri Coscritti, ne’ sapientissimi animi dei quali il giudicio di tanta nobile cosa risiede, or vi pensate, e coll’animo vostro risguardate la sentenzia di questa disputa e quistione. Assai la vita, la fortuna, e i costumi, e gli studi dell’uno e dell’altro insino a qui vi sono noti, e brievemente stati narrati. Uno è il fine di questa disputa; che oggi l’onestà colla disonestà, la continenzia colla libidine, la magnanimità colla pusillanimità, la dottrina colla ignoranzia, la virtù col vizio combatte. Quale di loro sia più nobile, nella vostra sentenzia si rimette.
Qui finisce la orazione di Gaio Flaminio e del Trattato di Nobiltà.
(1) Congiugio V. A. Congiugnimento. Così altrove.