Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/647


sulla lingua italiana 641

cui quell’idioma potè disseminare in tutta Italia una nova quantità di vocaboli.

Pur troppo, questa che tra le conquiste di tal genere, si può chiamar la più nobile, perchè venuta, non per la spinta di necessità materiali, nè per fatto di forze dominatrici, ma per potenza d’ingegno, rimase indietro dalle altre, riguardo al raggiungere la meta finale; e ciò per la mancanza appunto d’una tale spinta, e di tali forze. Ma chi potrebbe non riconoscere quanta, parte di linguaggio sia stata resa comune all’Italia dalle opere principalmente di quei tre primi, i nomi de’ quali corrono subito da sè alla memoria d’ogni lettore?

L’uno, il primo tra i primi, di valore come di tempo, riunì in una stupenda composizione, e memorie prese da tante età e da tanti luoghi, di fatti e di sentimenti i più vari, di vizi e di virtù, di gioie e di dolori, di prosperi eventi e di sciagure, di dottrine e d’errori; e descrizioni, anzi pitture di pene, di speranze, di stati felici; e giudizi e passioni sue proprie, e un conversare, o reverente, o amoroso, o iracondo, o pietoso, coi tanti e tanto diversi morti incontrati in quell’immaginoso viaggio; e gli aspetti e le avventure del viaggio medesimo.

Il secondo, per avere, e spesa molta parte e del suo tempo e del suo ingegno in composizioni latine, e dedicata a un solo argomento la maggior parte delle volgari, non potè, a un gran pezzo, diffondere in Italia un’ugual copia di vocaboli. Ma, anche in quell’argomento solo, quanta nova varietà d’affetti, di speranze, di dolori, d’immaginazioni, di gravi e alti pensieri che le combattono, e quindi d’espressioni! E così fossero state meno scarse l’altre sue composizioni in volgare, e principalmente quelle tanto mirabili, d’argomenti politici, e d’argomenti cristiani, e quindi più vasto l’effetto riguardo alla lingua, come fu rapida la diffusione e di queste e di quelle in tutta Italia, e ne dura perpetua la lettura e l’ammirazione!

Al terzo, come al primo, la maggiore abbondanza e varietà venne dalla natura degli argomenti; fatti, detti, costumi d’ogni genere. E anche troppi chi non lo sa, e chi non l’ha detto? Ma levato «il fedo loto, Onde macchiato è il Certaldese1,» quante forme di concetti, quante attitudini di linguaggio, in tanti e sentimenti e discorsi e vicende, di principi, di cavalieri, di gentildonne e di donne d’ogni condizione, d’uomini di corteo d’uomini di villa, di boni e di tristi, di generosi e d’abbietti, d’astuti e di sciocchi, di scienziati, di scolari, di corsari, di banditi!

E ora, cosa importa, se piace al cielo, che, prima dell’apparire di que’ lavori immortali, girassero per l’Italia de’ versi di poeti non toscani? Cos’hanno dato, cos’hanno lasciato all’Italia

 «I duo Guidi che già furo in prezzo,
     Onesto bolognese e i Siciliani,
     Che fur già primi e quivi eran da sezzo?2»


Quali furono, in ogni parte d’Italia, i loro contemporanei, o i loro posteri, che da que’ versi prendessero locuzioni per empire scritti di vari generi, e così le rendessero note e comuni in ogni parte d’Italia? E vaglia il vero, quale e quanta materia ci avrebbero trovata?

Quella poesia fu, come è noto, un’imitazione, dove più, dove meno ligia, della poesia provenzale; e nemmeno di questa intera poesia, nè

  1. Parini, il Mattino
  2. Petrarca, Trionfo d’ Amore, Cap. IV.