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Messo per ora fuor de’ concerti quest’intruso e importuno concetto di Proprietà letteraria (giacchè mi converrà affrontarlo di novo dove si tratterà dell’applicazione della legge positiva al caso in questione) s’è condotti a cercare se ci sia una ragione, e quale, di riservare esclusivamente agli autori, per mezzo d’una legge, la facoltà di ristampare i loro scritti. E anche su questo punto, ho la soddisfazione di trovarmi, ma solo in parte, con Lei. Pare ch’Ella riconosca per cosa giusta il sancire questo che chiama privilegio, come «un prezzo del lavoro, un compenso del servigio, prestato alla società,» purchè sia fissato un termine alla durata del privilegio medesimo. Su di che non può nascer dubbio; e il solo titolo erroneo d’una proprietà letteraria potrebbe condurre alla strana conseguenza che una tal privativa abbia a durare in perpetuo.

Ma c’è un’altra ragione non meno, se non più, importante, di riservare, all’autore quella facoltà esclusiva; e è che la contraffazione, non solo può privarlo d’un giusto vantaggio, ma anche cagionargli un danno positivo. E, a me, com’Ella vede, torna necessario d’aggiungere quest’altra ragione alla sola menzionata da Lei, e di dimostrarne brevemente la giustezza e l’importanza.

L’uomo che, dopo aver impiegato più o meno tempo, studio e, se occorre, anche spese a comporre un libro, si risolve a pubblicarlo, s’espone a un doppio risico. L’opera che a lui pareva dover essere gradita e forse avidamente cercata dal Pubblico, il Pubblico che, a ragione o a torto, sarà d’un gusto diverso, gliela può lasciare; e allora, tempo, studio, e spese della stampa, con dell’altre, se ce ne furono, tutto riesce a un disinganno costoso. Condizione incomoda davvero, ma che nasce dalla natura della cosa, e alla quale nessuna legge può voler metter riparo.

Ma a questo risico nato dalla cosa medesima se ne può aggiungere un altro, cagionato dalla volontà arbitraria d’altri uomini, e da un motivo di speculazione privata; cioè che l’opera sia, senza il consenso dell’autore, ristampata da un terzo che, non ci avendo messo nè tempo, nè studio, nè spese, trovi cosa comoda il profittare, a danno dell’autore medesimo, de’ molti vantaggi della sua diversa condizione. Primo vantaggio è il non esporsi a quel risico, a cui l’autore non si può sottrarre; perchè chi vien dopo non ristampa se non gli scritti, ai quali la prima prova dia una forte probabilità d’un novo smercio. S’aggiungano altri vantaggi secondari e, minori, come quelli di stampare sullo stampato, di non aver a fare correzioni per cagione di pentimenti, e, se dà il caso, di servirsi anche, per la correzione tipografica, d’un’Errata corrige. Ma il vantaggio maggiore e, dico senza esitare, il più contrario all’equità, è quello di non aver a dividere il provento con nessuno, e di poter quindi, con l’offrire il libro a un minor prezzo, far che l’edizione dell’autore rimanga all’autore, e cagionargli così una perdita positiva, oltre all’averlo privato «del prezzo del lavoro, del compenso del servigio prestato alla società» ch’Ella pure trova dovuto in una certa misura.

A Lei, autore di belle, utili e reputate opere d’economia politica (del che ogni amatore del ben pubblico, e particolarmente ogni Italiano, deve ringraziarla), sarebbe ridicolo il rammentare la potenza del minor prezzo. Ma gli effetti più immediati, anche in questo particolare, sono manifesti a ognuno; e chi ha l’onore d’indirizzarle queste righe, è di quelli che li conoscono anche per esperienza, avendo acceso molte volte il foco con esemplari di qualche suo scritto stampato qui a sue spese, mentre le contraffazioni dello scritto medesimo si spacciavano nell’altre parti d’Italia, e in questa piccola parte medesima, di dove si sarebbe potuto col favor della legge, ma era difficile in fatto, tenerle fuori.

«Il produttore di ricchezze immateriali» dic’Ella, «fa con la civile