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appendice al capitolo terzo 563

trariamente e contradittoriamente princìpi, senza poter nemmeno rimanerci poi di piè fermo.

Gli autori de’ novi sistemi, trovando eccellente quello ch’era stato chiamato il principio dell’utilità o, (che è lo stesso, se non di più prendendo le mosse da quello, senza neppur pensare che si devano, nè che si possano prender d’altronde, videro quanto fosse inadequata l’applicazione che n’avevano fatta i loro antecessori. — A noi, dissero a questi, o fu come se dicessero, a noi a far fruttare il gran principio che predicate e mettete in cima di tutto, senza intenderne il senso profondo, l’esigenza e la potenza. Utilità avete detto; e avete spiegato benissimo che utilità in ultimo, non significa altro che piacere, godimento, sia fisico, sia morale. Egregiamente. Godimento dunque (in questa vita, s’intende), ma per tutti e davvero, come richiede il principio. E cos’avete fatto finora voi altri economisti e legisti, per realizzarne l’intento? Vi siete baloccati intorno a dell’istituzioni secondarie e parziali, che ne suppongono delle primarie e generali, e di queste avete ammessa a credenza la necessità e la ragionevolezza, per l’autorità del fatto materiale e di consuetudini e d’opinioni formate e stabilite, da un pezzo senza dubbio, ma quando il gran principio non era apparso nella sua piena luce, e nemmeno entrato nella scienza. Avete cercato qual sia la maggior somma d’utilità che si possa ottenere, date certe istituzioni; in vece di cercare, come richiedeva il principio, quali siano l’istituzioni adattate a produrre la maggior somma d’utilità per tutti. E dopo di ciò avete lasciato all’individuo l’incarico di combinare il suo utile proprio con quello degli altri. Era un dire a alcuni: Voi, ai quali l’istituzioni sociali assicurano, per privilegio, una gran quantità di godimenti, sacrificate al vostro interesse ben inteso un di più che una cupidigia poco accorta potrebbe farvi desiderare. Era un dire a moltissimi: Voi altri poi, che l’istituzioni sociali privano di tanti e tanti di que’ godimenti, il vostro interesse ben inteso vuole che vi contentiate de’ pochi che vi concedono; perchèquell’istituzioni sono congegnate in maniera da farvi capitar peggio, se non ve ne contentate. È egli codesto un applicare sinceramente e logicamente il principio dell’utilità alla società umana? All’istituzioni, dunque, dev’esser commessa la grande impresa, non agl’individui, che, nella società come è stata accomodata, viene a dire alcuni che non vogliono, e moltissimi che non possono; a delle nove istituzioni; che costringano gli uni, e soddisfacciano gli altri. E siamo qui noi a proporle. —

Come le proposte siano state concordi, ognuno lo sa: e si poteva prevedere; giacchè, quanto più si tenta d’applicar fedelmente e in grande un falso principio, tanto più si va lontano dal poterlo fare nella stessa maniera.

Alcuni di questi scrittori hanno negata, senza tergiversare, anzi con sdegno, la vita futura. E fu anche questo un progresso logico, come s’è toccato sopra, nell’applicazione del principio dell’utilità. Proporla per regola e per fine di tutte l’azioni umane, e restringerla in fatto al godimento de’ beni temporali, lasciando poi in sospeso se, al di là della vita presente, ci siano per l’uomo altri beni e altri mali, è un contrasto troppo evidente tra la franchezza delle conclusioni e l’esitazione delle premesse. È lo stesso che se uno vi presentasse come definitiva una somma raccolta appiè d’una pagina d’un libro di conti, senza sapervi dire se sia o non sia l’ultima pagina. Che alcuni riescano, dirò così, a sonnecchiare fino alla fine in una tale indecisione, può darsi benissimo; ma tenerci tutti gli altri, no. E col moltiplicarsi il numero de’ seguaci d’una dottrina che mette il tutto nell’utilità, e tutta l’utilità nella vita presente, dovevano, quasi di necessità, uscirne quelli che ci aggiungessero, come un postulato indispensabile, che il conto finisce con la morte.